Tiffany

Nel frattempo, alla questura centrale di Roma l’ispettore Bartolomeo sale affannato la lunga e larga scalinata in marmo fino al primo piano, aggrappato al corrimano in ferro battuto. L’assistente, dal basso, lo guarda sbigottito: “Capo, perchè non avete preso l’ascensore?” L’ispettore: “ Naaa…, meglio che mi sfoghi su questa scalinata,  devo scarica’!” conclude con il suo forte accento lucano. L’assistente: “Se lo dice lei, ispettore …”. Un paio di colleghi aspettano l’ispettore all’ingresso della portone d’acciaio smerigliato – con eleganza accoglieva senza riserve chiunque varcasse la soglia. Il più alto (203,7 cm) si fa avanti,  si rivolge a Bartolomeo – lillipuziano al confronto – con totale dedizione: “Ispettore … il pacchetto è sul tavolo, oltre al corriere, solo io e l’agente Rossini l’abbiamo toccato”. L’ispettore, sporgendo il collo come se guardasse il cornicione di un grattacielo: “grazie Sandro, vado immediatamente, non voglio essere disturbato da nessuno”. Ottavio Bartolomeo varca il sontuoso portone per avviarsi in un corridoio ugualmente bello: del marmo a scacchiera si può sentire il profumo, fragranza antica, odore di sapienza. L’ispettore arriva alla porta del suo ufficio: pesante legno d’ebano intarsiato. L’ufficio dell’ispettore toglie il fiato a chi non immagina che quel buffo ometto sia dotato di così buon gusto e cultura.  Un disimpegno con la postazione del segretario dà l’accesso a destra, a una stanza grande, di Bartolomeo, dotata di terrazzo a veranda, e a sinistra a una stanza più piccola per il fedele assistente l’ispettore Luca Meneghini. Varcare la soglia di quell’ufficio è come fare un passo in un altro mondo. La scrivania, in stile coloniale inglese di forma semicircolare, è proprio di rimpetto alla porta d’entrata, sopra, diversi oggetti, tra cui scatoline e fermacarte. Un cobra d’ebano avvolto su se stesso, con la parte superiore eretta come per attaccare, guarda in direzione della poltrona destinata ai visitatori. Sopra all’antico schedario un altrettanto antiquato giradischi con grammofono. Piantane, abat jour stile Tiffany scompongono i raggi del sole in mille macchie colorate. Tutta roba della zia Agata, che negli anni ’30, con l’unico amore della sua vita, aveva girato il mondo in un lungo e in largo.         Vega Villani