L’alcova d’autunno

Mi addormentai con la tv accesa, ma le urla che mi svegliarono non provenivano dallo schermo: era mia madre che gridava aiuto, urlava il mio nome. Lui, Riccardo, era lì,  sopra di lei e le teneva strette le braccia. Il salotto era diviso da una libreria, dietro c’era il letto matrimoniale, alle pareti, una calda carta da parati rappresentava un bosco autunnale, sembrava di dormire sopra le foglie cadute; mio nonno aveva progettato e costruito la libreria e mia madre e Mia avevano scelto la carta e le lampade, la ristrutturazione era stata fatta per creare uno spazio tutto per me ricavandolo dalla camera di mia madre. In quell’alcova Simona giaceva con Riccardo chino su di lei: qualche frazione di secondo e con un racchettone da spiaggia mi avventavo sull’energumeno colpendolo più e più volte di taglio sul capo.

Poveraccio, alla fine scoprii che non le stava facendo nulla, la teneva ferma per non farsi picchiare, lei, stronza, aveva cominciato a urlare. Puzzavano come una distilleria: poi  Riccardo uscì di casa, aveva il volto completamente insanguinato. Mia madre venne verso di me, mi chiamava – la tigre – con un sorriso sul volto che sembrava più un ghigno, andò al di là della libreria, nella zona “giorno” e versò in una tazza il suo gin con aranciata: “ V, V – diceva – che fine faremo?” continuava parlando e ciondolando come un bebè ai primi passi. 

Il giorno dopo, tornando da scuola, incontrai Michele, ridacchiando mi disse che aveva visto Riccardo fasciato come un uovo di pasqua – questo mi riempì d’orgoglio, sentivo la rivalità che l’uomo provava nei confronti del suo successore e  mi convinsi d’aver fatto la cosa giusta.

Solo qualche giorno dopo venni a sapere da mia madre che Riccardo era in coma. Era stato a Trastevere, lì aveva avuto a che fare con certi tipi in libera uscita, probabilmente non volevano pagargli i soldi per il parcheggio e lo avevano aggredito.  Simona era disperata, continuava a ripetere che il “branco”  era sotto l’effetto di chissà quanta cocaina: “ubriachi, fascisti!!”, continuava urlando.  Poi se la prendeva con i genitori del malcapitato per la poca prontezza nel portarlo al pronto soccorso. 

Quella notte Riccardo era tornato a casa  nel quartiere di San Lorenzo, probabilmente era ubriaco, si era messo a letto e ci era rimasto per i due giorni successivi, solo allora i sui avevano cominciato a preoccuparsi.  Riccardo era in coma, trauma cranico, un ematoma interno che cresceva a dismisura, premeva forte sulla scatola cranica … Ricordo poco delle spiegazioni che mia madre mi diede. Dalla terapia intensiva del San Giovanni alla sala operatoria, Riccardo non ce la fece …

Vega Villani