Poveraccio, alla fine scoprii che non le stava facendo nulla, la teneva ferma per non farsi picchiare, lei, stronza, aveva cominciato a urlare. Puzzavano come una distilleria: poi Riccardo uscì di casa, aveva il volto completamente insanguinato. Mia madre venne verso di me, mi chiamava – la tigre – con un sorriso sul volto che sembrava più un ghigno, andò al di là della libreria, nella zona “giorno” e versò in una tazza il suo gin con aranciata: “ V, V – diceva – che fine faremo?” continuava parlando e ciondolando come un bebè ai primi passi.
Il giorno dopo, tornando da scuola, incontrai Michele, ridacchiando mi disse che aveva visto Riccardo fasciato come un uovo di pasqua – questo mi riempì d’orgoglio, sentivo la rivalità che l’uomo provava nei confronti del suo successore e mi convinsi d’aver fatto la cosa giusta.
Solo qualche giorno dopo venni a sapere da mia madre che Riccardo era in coma. Era stato a Trastevere, lì aveva avuto a che fare con certi tipi in libera uscita, probabilmente non volevano pagargli i soldi per il parcheggio e lo avevano aggredito. Simona era disperata, continuava a ripetere che il “branco” era sotto l’effetto di chissà quanta cocaina: “ubriachi, fascisti!!”, continuava urlando. Poi se la prendeva con i genitori del malcapitato per la poca prontezza nel portarlo al pronto soccorso.
Quella notte Riccardo era tornato a casa nel quartiere di San Lorenzo, probabilmente era ubriaco, si era messo a letto e ci era rimasto per i due giorni successivi, solo allora i sui avevano cominciato a preoccuparsi. Riccardo era in coma, trauma cranico, un ematoma interno che cresceva a dismisura, premeva forte sulla scatola cranica … Ricordo poco delle spiegazioni che mia madre mi diede. Dalla terapia intensiva del San Giovanni alla sala operatoria, Riccardo non ce la fece …
Vega Villani