Marmite

Le giostre a ritmo di disco-music all’imbrunire diventavano vere e proprie piste da ballo, luci colorate rendevano lo spettacolo ancora più suggestivo e spruzzate di fumo variopinto profumato di fragola t’inebriavano le narici rendendoti euforico … chi era sui seggiolini di qualche giostra girava spedito avanti e indietro con le braccia alzate per amplificare la sensazione che l’adrenalina ti regalava.

Ero là, mi atteggiavo a fare la donnetta anch’io, cercavo, guardandomi intorno tra le altre ragazze, di assomigliare il più possibile a loro. Il senso di inadeguatezza cresceva forte giorno per giorno: più cresceva più cercavo di mimetizzarmi,  più ero vittima, più diventavo oggetto di scherno, finché non mi mettevano fuori. La mia oscura curiosità spesso veniva  scambiata per diffidenza, fraintesa per qualcosa che non era, rendendomi effettivamente un tipo alquanto bizzarro … inquietante …

 Come per effetto di un misterioso richiamo, adunate di ragazzi uscivano dal parco, l’ora del coprifuoco era vicina. Insieme alla mia amica Sabrina e a tanti altri aspettavamo l’autobus di fronte allo SHERATON hotel, all’inizio del viadotto della Magliana: spesso  passavamo il viadotto a piedi, tre chilometri al di là del guardrail, con la speranza d’aver fatto la scelta giusta.

Era sempre un’incognita il n° 293: era una di quelle linee che alla fermata potevi aspettare anche per più di un’ora; un bus di quella stessa linea pochi anni prima era caduto dal viadotto uccidendo quasi una decina di passeggeri. 

Arrivavo a casa sudata e affannata dopo la lunga corsa per arrivare puntuale, mi mettevo a suonare freneticamente il campanello per fare dispetto a mia madre sapendo che le dava un gran fastidio, a ogni scampanellata pregavo perché ci fosse, ma la maggior parte delle volte era già uscita e la trovavi a Trastevere al baretto della piazza, dove faceva la parcheggiatrice.  La porta serrata e un gran magone nello stomaco: seduta sulla fredda scalinata, un giorno, fissando la porta mi decisi e l’aprii a suon di calci. Ero stufa di passare nottate intere ad aspettare che lei arrivasse da chissà dove!

Fu in quella notte che credo d’aver contribuito alla morte Riccardo, il compagno di mia madre…

Stanca, esausta, sfogai la mia rabbia, entrai  buttando giacca e zaino in camera mia, quasi davanti all’angusta entrata. Birillo – il mio storico cane – nonostante l’enorme mole, dormiva acciambellato sulla mia poltrona di pelle, non aveva reagito al frastuono che avevo fatto per entrare, scodinzolando alzò il muso, sembrava dirmi: era ora!  Felice, saltò giù e insieme andammo in cucina a cercare qualcosa da sgranocchiare.  Sui fornelli, il solito pappone macrobiotico che mia madre cucinava puntualmente per noi e la pappa dei cani con macinato e riso soffiato; aprii il frigo: sottaceti, un barattolo di “Marmite” aperto e qualche formaggio attirarono la mia attenzione. Mi preparai un piattino con crackers spalmati di  formaggino e  “Marmite” e servii a Birillo la sua pappa. Mangiammo entrambi in camera mia davanti alla tv che avevo preso dal salone e posato sul comò di fronte al letto con una prolunga per l’antenna. Simona sarebbe tornata a notte fonda e sbronza, forse non se ne sarebbe accorta che la tv non c’era e quella notte non avrebbe messo video-music a palla; sembrava prospettarsi una serata tranquilla …

Vega Villani