Fortunato

Avevo conosciuto il padre dei miei figli, Fortunato, grazie a Damiano, un ragazzo con cui stavo. Damiano era stato rinchiuso nel carcere minorile di “Casal del Marmo” e fu in un giorno d’estate,  fuori dal comprensorio,  mentre aspettavo che uscisse, che  vidi Fortunato, anche lui in libera uscita. I due si diedero appuntamento per il tardo pomeriggio e chiesero a me di portare un’amica.

Portai la mia amica di sempre, Sabrina, rimanemmo tutti e quattro insieme fino al giorno dopo passando la notte in una pensione vicino alla stazione Termini: ero l’unica minorenne e fu complicato riuscire a prendere una stanza, sembravo addirittura anche più piccola della giovane età che avevo. Damiano era un tipo molto geloso e non mi permetteva né di truccarmi né di indossare vestiti che avrebbero messo in risalto qualsiasi tipo di curva.

Fortunato si accorse fin da subito delle brutte e ossessive abitudini dell’amico e in qualche modo glielo fece capire. Aveva però un carattere arrogante, dominante, alquanto fastidioso, in realtà era timidezza, ma questo solo ora lo posso dire, dopo decine di anni da quell’incontro; mascherava la sua timidezza dietro l’arroganza.  Fu  l’anno successivo, quando la convivenza con Damiano era solo un lontano ricordo che lo rividi.

Ero con mia madre nel baretto sotto le nostre finestre, alla Magliana, intente a fare due chiacchiere con un amico, quando vedemmo arrivare uno scooter a tutta velocità che si fermò proprio di fronte all’entrata.  Era Fortunato: salutò l’uomo che era con noi, si allontanò con lui  – il tempo di quattro parole – ed era di nuovo davanti a me: mi chiese di Damiano, gli risposi che la storia era finita da un pezzo e lui, per tutta risposta, se ne uscì con una delle sue battute  da vero stronzo:  “Era ora che te lasciavi con quel cojone …”. Dettò il suo numero di telefono al nostro amico, mi salutò e se ne andò con il suo scooter, a palla, proprio com’era arrivato.

Qualche ora dopo, ricordando il numero che avevo sentito, scroccai due spicci a mia madre e mi diressi al telefono pubblico del bar, telefonai e già eravamo insieme, in giro per Roma. Non so per quale motivo particolare chiamai, in fin dei conti, sì, era molto carino, ma mi stava letteralmente sulle palle! Forse avevo percepito fin da subito quel forte senso di protezione che poi mi diede negli anni successivi. Da lì a restare incinta passò pochissimo tempo, poco più di un mese.

Vega Villani