Il Dipartimento delle Politiche Sociali

Le labbra sottili inumidite dalle lacrime tremavano così tanto da dargli le sembianze di un pesce,  la faccia smunta, pallida – il signor Del Vecchio era già provato prima che la figura mascherata gli facesse visita. Questa aveva osservato il tutore del Dipartimento Politiche Sociali al lavoro dalla vetrata dell’ufficio che dava sul corridoio.

Il signor Del Vecchio era   un tutore legale per minori ai cui genitori era stata tolta o sospesa la patria potestà; quando  la figura mascherata arrivò,  era nel pieno di un colloquio con un ragazzino e la sua assistente sociale: il caso volle che quest’ultima fosse la signora Wanda, l’unica testimone dell’omicidio della Longaretti.

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La Maschera cammina con il fiato pesante e lento, sospira a ogni passo e prosegue, come automatizzata. Dalla Villa Celimontana a via di San Paolo della Croce va avanti con lo sguardo perso nel vuoto, si ferma per un istante davanti all’Arco di Dolabella e Silano, riprende per fermarsi di nuovo di fronte all’ospedale Militare Celio, sussulta: vecchi flash, immagini sfocate di antichi monumenti arrivano come forti martellate alla nuca,  laboratori, codici a barre, medici bardati di tutto punto. Dopo qualche istante, le martellate si attenuano e una strana e misteriosa  forza spinge la Maschera a riprendere il cammino, imbocca via dei Normanni, via Labicana, passa davanti alla basilica di San Clemente, arriva a viale Manzoni, entra nel Dipartimento delle Politiche Sociali. Il bip che annuncia l’apertura delle porte dell’ascensore  fa ritornare quel dolore intermittente alla nuca, nuove immagini nella mente,  di fronte alla pulsantiera non riesce a distinguere i numeri, sembrano geroglifici, un altro bip  – la chiusura delle porte – spegne come un interruttore il dolore e le immagini ad esso legate. La Maschera pigia per il terzo piano, mette la mano sinistra nella tasca del cappotto, tira fuori la maschera bianca e uno spago. Prosegue lungo i corridoi fin quando la stessa forza che la spingeva ora la ferma: è di fronte all’ufficio del signor Del Vecchio,  non può entrare, c’è un bambino nella stanza, si blocca, pietrificata, in standby, non un respiro, non un battito di ciglia: come per magia, prende le sembianze di una statua.  I dipendenti comunali non fanno caso al visitatore; una segretaria in corsa con le fotocopie in mano gli va addosso, l’impatto è doloroso: se avesse urtato un muro o una colonna di travertino sarebbe stata la stessa cosa. La segretaria si scusa,  la figura non risponde, non si muove, non reagisce; la donna raccoglie le carte, si allontana si gira di tanto in tanto. E’ terrorizzata, qualcosa di inquietante le è entrato nelle viscere  e non vuole uscire.

La porta dell’ufficio si apre, la signorina Wanda esce tenendo per mano il ragazzino, incrocia lo sguardo della Maschera, si sente gelare, c’è qualcosa di terribilmente familiare in quella persona, scrolla il capo, si allontana. Del Vecchio è seduto alla sua scrivania, è così intento a esaminare le sue scartoffie che non s’accorge della figura mascherata in piedi, davanti a lui.

Vega Villani