Flash-mob nella foresta

Mi tirai su, intontita dal viaggio, chiesi alla mamma quanto mancasse ancora all’arrivo: “ Finiti i lampioni, saremo quasi arrivati “.

I lampioni finirono e, come promesso, cominciò la tortuosa strada sterrata che dal paese portava a casa; dal finestrino, il fresco profumo del bosco notturno si mescolava all’odore di fumo e gasolio che fuoriusciva dalla marmitta quando la macchina sforzava sulle prime salite.  Mia madre rallentò per poi fermarsi, mi fece scendere, i gufi bubulavano, l’aria era nera come la pece e qualche fruscio tra le frasche mi fece pensare che la vita notturna della foresta si era fermata all’istante, a mo’ di  flash-mob, in attesa che ce ne andassimo. Non avevo paura, anzi  quell’atmosfera mi piaceva e molto, fin da piccola ero stata attratta dall’avventura; mamma mi fece  salire sul cofano e m’indicò una fievole luce: “ vedi, zanzarina, quella luce? seguila sempre e arriverai a casa.”

Era vero, ancora oggi, quando non c’è la luna, quella luce mi indica la strada. La macchina camminò a passo d’uomo fra una buca e l’altra, i rami delle sterpaglie di ginestra, di ginepro e del sottobosco urtando contro la carrozzeria producevano  stridolii: era una nenia di benvenuto.

Svoltammo e prendemmo il sentiero di casa; fortunatamente, il cancello era aperto, un rudimentale diabolico arnese costruito con l’avanzo di qualche legname e fil di ferro per tenerlo insieme e, all’estremità opposta, il gancio che serviva per tenere chiuso e in piedi tutto l’accrocco. Pur essendo dotata di una discreta manualità, non ho mai fatto amicizia con il signor cancello: innumerevoli sono stati i tentativi falliti.

La porta cucina a quadro inglese si aprì e una sagoma indefinita, allertata dai cani, ci venne incontro, si faceva schermo con la mano per proteggersi dagli abbaglianti dell’auto: era Gianfranco, il migliore amico di mia madre, una delle persone più calme, pazienti e buone che abbia mai conosciuto, è ancora e sempre lo zio buono di tutti i bambini.  Appena i fari della macchina furono spenti, riuscì a vederci e, con la mano che prima usava per ripararsi, fece un gesto d’impazienza, mandava a quel paese mia madre.

Simona non era nuova a queste improvvisate notturne, abitudine che coerentemente riuscì a conservare negli anni. Se l’aspettavi nel pomeriggio quasi sicuramente e con po’ di fortuna l’avresti vista in nottata o nella peggiore delle situazioni in un pomeriggio – sì, ma chissà di quale giorno – carica d’energia a prescindere dall’ora e sempre pronta a far festa.

Vega Villani