SOLITUDINE di F. Kafka

“Nota ad alcune pagine di un diario inedito”. Domenica, 19 luglio 1910
Dormo, mi sveglio, mi riaddormento, mi sveglio, miserabile vita. Quando ci penso, debbo confessare che la mia educazione m’ha grandemente nociuto, sotto molti aspetti. Tuttavia, non sono stato educato in un luogo appartato, in una rovina, sulle montagne, il che non solleverebbe in me alcun rimprovero. E siccome tutta la serie dei miei vecchi maestri rischia di non comprendere assolutamente ciò, bisogna dire che io sarei stato volentieri, e di preferenza, questo piccolo abitante delle rovine, abbronzato dal sole, che attraverso le brecce avrebbe brillato sull’edera tepida della mia dimora, ancorché io fossi stato debole al principio, sotto l’impulso delle buone facoltà che si sarebbero messe a crescere dentro di me rigogliosamente come la malerba.Quando ci penso, debbo confessare che la mia educazione m’ha grandemente nociuto sotto molti aspetti. Questo rimprovero colpisce una quantità di gente, per esser precisi, i miei genitori, certi membri della mia famiglia, certi habitué della nostra casa, diversi scrittori, una tal cuoca che per tutto un anno mi condusse a scuola, una folla di maestri (che nel mio ricordo sono obbligato a pigiare stretti, a scanso di vedermene sfuggire qualcuno; e adesso, una volta che la folla è stata radunata, ecco che il tutto si disgrega in mille direzioni), un ispettore di scuola, dei passanti che camminavano lentamente, in breve, questo rimprovero si rivolge come un pugnale contro la società tutta intera e nessuno, io lo ripeterò, nessuno è affatto sicuro che questo pugnale non lo minacci un giorno davanti o alle spalle o in un fianco.Questo rimprovero – io non tollererò che gli si venga a sollevare obiezioni. Siccome ho già dovuto sentire troppe obiezioni, e la maggior parte di esse sono state già confutate, io estenderò il mio rimprovero anche a queste obiezioni e fin d’ora dichiaro che la mia educazione e tutto questo confutare mi hanno nociuto sotto molti aspetti.Notata la parentesi: “che nel mio ricordo sono costretto…”? C’era della crudeltà in Kafka, cui egli, come tutti i deboli e i vinti, dava sfogo per così dire marginalmente. E forse un prodotto marginale delle sue sofferenze e delle sue crudeltà è tutta la geniale opera letteraria. Pochi, come Kafka, si sono mai resi conto dell’importanza che può avere nello sviluppo della personalità e, in generale, poi, delle capacità di riuscire nella vita, l’educazione: vogliamo dire, non l’educazione in generale, ma proprio quella che ognuno ha ricevuto, che è connaturata quasi con la sua realtà spirituale. La lucidità di Kafka in questo senso è perfino impressionante: vedi il passo sopra riportato dal “Giornale intimo” (che non è mai stato tradotto in italiano). Lo potremmo commentare, per quanto riguarda i genitori, con queste dolorosissime parole tratte dalla lunga lettera al padre, che l’amico fedele, Max Brod, pubblicò in parte non molto tempo fa: “io ero un bambino ansioso, e tuttavia ostinato, come tutti i bambini: senza dubbio anche mia madre mi guastava, ma non posso credere, ad ogni modo, d’essere stato poco trattabile, non posso credere che un modo silenzioso di prendermi per la mano, uno sguardo buono non avrebbero ottenuto da me tutto ciò che si fosse desiderato (…) in fondo tu [il padre] sei un uomo buono e tenero (…) ma non tutti i bambini hanno la tenacia e l’intrepidezza necessarie per cercare fino a che non abbiano trovato la bontà (…); davanti a te avevo perduto la fiducia in me stesso, e assunto invece un sentimento di colpevolezza senza limiti”. Tutta la vita di Kafka fu un tentativo di rivolta contro il padre, un tentativo che non riuscirà mai. O per sua costituzionale debolezza nell’accettare un fatale rapporto o per la preponderante personalità dell’uomo che gli era padre, a un certo punto Kafka si scoperse impotente a vivere: tutto egli aveva fatto coincidere con l’eccezionale dimensione che ai suoi occhi aveva assunto il padre – il coraggio, la virilità, la salute la religione stessa. Il padre era Dio: “la stima di me stesso dipendeva molto più da te che da qualsiasi altra cosa, fosse pure un successo esteriore”. Eppure, Dio non era: nel seguito della lettera Kafka trova di dover imputare al padre di non essere stato un esempio: “ciò che importava, infatti, era non di dare una qualsiasi educazione ai figli, ma bensì l’esempio della tua vita”. E’ probabile che non in questo senso abbia mancato il padre, ma nell’altro, di aver fatto sì che il figlio si dovesse aspettare da lui ciò che lui non poteva dare. Ad ogni modo, il rapporto venne a mancare a un certo punto e Kafka si trovò a mani vuote. Il padre era l’intermediario tra lui e il mondo; quando egli iniziò la ricerca il padre diventò l’ostacolo primo e insuperabile e il mondo da una parte e Dio dall’altra gli si rivelarono lontani, a una distanza infinita. E la disperata consapevolezza di questa distanza diventò poi il tema fondamentale dei suoi romanzi. “Non tutti i bambini hanno il coraggio e l’intrepidezza necessaria…”: no, non tutti, e lui meno degli altri. Ma nella solitudine cui il mondo lo aveva dannato, bisogna ammettere che era spaventosamente difficile avere coraggio. E, in ogni caso, ancora più difficile riconoscere di non averne. Con estrema consapevolezza Kafka propone la sua vita come paradigma di tutta la realtà spirituale del secolo: egli non accettò nessuno dei pretesti che gli venivano offerti di vivere: non accettò il matrimonio, non accettò la religione scaduta della comunità, non accettò l’arte. Nel testamento egli lasciò all’amico Max Brod l’incarico di bruciare tutta l’opera sua. Tremenda risoluzione, ma che ci prova quanto fosse serio il suo impegno. Silvano Villani___________L’aspetto più interessante di questo articolo giovanile (Villani ha 26 anni nel 1949) riguarda l’analisi del rapporto tra Kafka e il padre. L’errore del padre non sta nel fatto di non aver dato l’esempio (come chiedeva Kafka), ma nell’essersi frapposto tra il figlio e il suo bisogno di autonomia. Il padre ha voluto essere assoluto protagonista di sentimenti e pensieri, ha generato il bisogno di un esempio da seguire (bisogno inesauribile e destinato ad essere puntualmente deluso per eccesso di aspettative). Avrebbe potuto scendere dal palcoscenico seguendo da spettatore – al massimo, da suggeritore – la vita nascente del figlio, magari fargli sentire che ognuno può essere “esempio” a se stesso. Pia Di Marco, 15 giugno 2015