1949 – Quasi foresta vergine la poesia americana. Un’interessante pubblicazione dell’editore De Silva, “Ultimissime”, anno III – n. 550, Trieste, venerdì 30 settembre 1949

Per l’editore De Silva, Gabriele Baldini, “un giovane critico che si è già chiaramente fatto notare per i suoi studi sulla letteratura di lingua inglese”, ha curato un volume di “Poeti americani” che, senza essere ancora un’antologia, riesce a dare per lo meno la trama su cui sviluppare la fitta tela di letture più impegnate e organiche. Ciò anche perché, come l’autore osserva nella breve, ma intelligente prefazione, dato lo stadio in cui si trovano gli studi (l’indagine filologica della letteratura americana sta muovendo i suoi primi passi) non è possibile ancora fissare con una certa esattezza le linee di sviluppo seguite dalla poesia americana dalle sue origini ai nostri giorni. Vi sono periodi che per noi ancora continuano a tacere e altri la cui voce ora appena si comincia a percepire. Di molti autori la figura appare quasi perfettamente isolata, senza nessi con un ambiente storico o una tradizione letteraria qualsiasi, mentre sull’opera di altri si è venuto riformulando il giudizio in altro tempo frettolosamente pronunciato. Così il panorama d’una poesia americana resta per lo meno problematico. La questione è, innanzitutto, di ravvisare le forme e i temi d’una tradizione americana, appunto, e di staccarli da quelli che sono invece d’importazione e appartengono alla cultura europea: come è il caso di Poe, di Eliot e di altri che solo fortuitamente, e cioè perché nati in quella provincia dell’Europa che spesso è l’America, possono essere fatti entrare in un’antologia di poeti americani. La loro patria è e resta l’Europa ed essi se ne sono resi quasi sempre conto. Come una rozza provincia inglese comincia infatti l’America, che della poesia inglese ripete non poco monotonamente i temi e la maniera. Il più industre di questi poeti, il Taylor, di rado riesce a celare la preoccupazione d’essere al corrente con la moda, né giungono alla poesia gli accenti della Bradstreet, la prima poetessa americana, anzi, la prima di lingua inglese che ebbe otto figli e anche il tempo di dettare ben settemila versi, o quelli del reverendo Wigglesworth, per quanto autentica sia in quest’ultimo la forza del sentimento religioso. Con il Freneau, un secolo dopo, qualche originale sommovimento si verifica nell’ambiente coloniale: è con lui, infatti, che avvia a prendere forma una particolare sensibilità che, rimodulata da diverse voci su diversi metri, si manterrà attraverso il Bryant, l’Emerson, il Sandburg, fino a noi con Lee Master e Wilder. Una sorta di romanticismo attenuato, minore, la cui nota è avvertibile in molti altri settori ancora più vicini a noi e sui quali il Baldini ci pare passi un po’ troppo frettolosamente – una nota, a nostro modo di vedere, caratteristicamente americana, per lo meno quanto lo spirito che nutre e agita i versi Walter Withman. Da rilevare a questo proposito l’atteggiamento quasi costante degli europei di fronte alla produzione americana su cui un critico della “Saturday Review of Literature” ultimamente ha opportunamente richiamato l’attenzione: e cioè che di un autore americano sovente preme più stabilire la sua origine, la sua appartenenza culturale, che i risultati cui approda – decidere se sia cioè americana la sua ispirazione piuttosto che se abbia raggiunto qualche valore letterario o poetico che sia. “Che cos’è l’America? E’ questa l’America?” ecco le domande cui pare che si debba rispondere in primo luogo. Che non è, evidentemente, il modo migliore per avviare un’indagine di natura letteraria. Di ciò pare che si sia reso conto Baldini, particolarmente nell’acuta revisione del giudizio su Withman pronunciato dall’Europa al principio del secolo (ricordiamo tra l’altro le entusiastiche pagine di Papini). Senonchè il problema non è forse sempre di natura letteraria. Non ci si chiede per esempio che cosa sia l’America quando si leggono i versi del suo massimo critico, la Dikinson, o quelli del Poe, o quelli dell’Eliot. Ma il fatto è che se si tolgono queste figure isolate, il panorama della letteratura americana “non muterebbe sostanzialmente”. Ed è molto dubbio che il progredire delle indagini filologiche possa mutare la situazione. Forse, effettivamente, non è solo letterario il problema che si deve risolvere per quanto riguarda l’America, anche quando si parli della sua poesia. Silvano Villani
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Gabriele Baldini, “Poeti americani”. Scelta con traduzione e testo a fronte, ediz. De Silva